Sindrome Hikikomori

Cos’è la sindrome Hikikomori? Il termine Hikikomori, dal verbo giapponese hiku (tirare indietro) e komoru (ritirarsi), significa praticamente mettersi in disparte. È un termine coniato in Giappone per identificare coloro che vivono ritirati dalla vita sociale per restare perennemente chiusi nella loro camera da letto, avulsi da qualunque interazione con l’ambiente esterno.

Il fenomeno pare sia sbarcato anche entro i confini del Bel Paese, dove si stima la presenza di quasi 100.000 giovani reclusi nella loro cameretta. A fronte del dilagare dell’Hikikomori si spera che, quanto prima, tale disturbo riceva un preciso inquadramento clinico e sociale.

Cosa si intende per Hikikomori

In Giappone, l’Hikikomori è considerato una conseguenza negativa delle pressioni sociali, tipiche della suddetta area geografica, a carico dei giovani. Infatti, la società nipponica si basa su uno stile di vita permeato da uno forte senso di competizione da cui dipende l’onorabilità dell’individuo. I giovani, in conseguenza, possono sentirsi schiacciati dal peso delle suddette aspettative sociali e familiari, e abbattersi in una sorta di suicidio sociale.

Hikikomori

Sintomi e manifestazioni

Il Ministero della Salute giapponese, pur non essendoci ancora una precisa collocazione in ambito clinico del disturbo, ne ha così definiti i criteri per la sua individuazione:

Metodi di diagnosi dell’Hikikomori

  • Stile di vita circoscritto esclusivamente entro le mura domestiche, senza mai accedere in altri contesti.
  • Rifiuto di prendere parte ad attività scolastiche, lavorative o ludiche in ambienti esterni alla casa, tranne il caso di interazioni virtuali tramite social, giochi on line e similari.
  • Assenza totale di rapporti con ex-compagni di scuola o ex-compagni di lavoro, coltivati prima del ritiro sociale.
  • Persistenza delle suddette circostanze da un periodo protratto oltre i 6 mesi.
  • Esclusione della sussistenza di altre patologie psichiatriche che includano il ritiro sociale fra la loro sintomatologia.

Uno dei metodi più diffusi per individuare uno stato di Hikikomori è quello della diagnosi differenziale dalle diverse patologie psichiatriche portatrici dei medesimi sintomi.

La diagnosi differenziale prevede lo studio dell’anamnesi, cioè del quadro clinico teso a verificare l’eventuale interessamento del soggetto da disturbo depressivo, ansia sociale, psicopatia o disturbo evitante di personalità.

Altri metodi di indagine sono rappresentati dai test psicometrici, come l’ Hikikomori Assessment Interview, l’Hikikomori Questionaire e l’Hikikomori Social Withdrawal Scale.

Caratteristiche predisponenti

L’incidenza del disturbo sembra interessare maggiormente giovani tra i 14 e i 30 anni di sesso maschile, figli unici e con genitori impegnati in cariche di rilievo e assenti nel rapporto con i figli.

Gli individui interessati da tale disturbo, molte volte, non hanno un dialogo nemmeno con i genitori, dai quali accettano solo il passaggio del cibo dalla cucina alla stanza in cui vivono isolati dal mondo. Non di rado esplodono in scatti d’ira e aggressività, anche facendo del male a se stessi: infatti, il rischio che tali soggetti pongano in essere gesti estremi, come il suicidio, non è irrilevante.

Cause scatenanti dell’Hikikomori

Ecco di seguito le cause che possono scatenare il desiderio di ritiro sociale in un soggetto:

  • Il bullismo, cioè quella tipica violenza psicologica, costituita da insulti, derisioni ed esclusione dalla vita comunitaria, riservata solitamente agli individui carenti della capacità di comunicativa necessaria per interagire in modo efficace e gratificante in seno a contesti sociali.
  • Forti pressioni psicologiche, con spropositate imposizioni e aspettative, da parte dei genitori.
  • Richieste elevate nel rendimento scolastico, nonché norme di condotta eccessivamente rigide, da parte delle istituzioni scolastiche.
  • Scarse opportunità di lavoro.
  • Timidezza eccessiva o fobia sociale.

Cura dell’Hikikomori

Attualmente, tale disturbo è trattato con percorsi psicoterapeutici, tra cui la terapia cognitivo-comportamentale e quella familiare, e con psicofarmaci. Infine, è consigliabile fare riferimento al medico curante, o a uno specialista del campo, alle prime avvisaglie del disturbo. L’intervento tempestivo, infatti, è il miglior modo per ottenere una risposta più pronta ed efficace alle terapie.

BLOG

Autore